Da Dante a Marconi

Dagli ordini religiosi alle streghe passando per Pasolini: una Bologna tutta da scoprire.

Un percorso che si snoda in una zona meno turistica del centro storico, dove alcuni importanti ordini religiosi ci danno il benvenuto con le loro belle chiese, come San Francesco o San Salvatore.

Strade come via San Felice, citata da Dante, dove si aprono imponenti palazzi nobiliari che ospitarono tra gli altri il giovane Mozart.

Bancarelle variopinte di frutta, verdura, formaggi e salumi che ci accolgono coi loro colori. Una zona dove, dietro l’angolo, puoi incontrare la casa di una strega o di un regista famoso, e che diede i natali a Guglielmo Marconi.

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Itinerario

Chiesa dei Ss. Gregorio e Siro, Via Monte Grappa 15

La chiesa dei Ss. Gregorio e Siro venne costruita tra il 1532-1535 sul terreno dove un tempo sorgevano le case della famiglia Ghisilieri. Queste erano state distrutte nel 1445 come ritorsione per aver preso parte alla congiura contro i Bentivoglio e all’assassino di Annibale, “signore di Bologna”, molto amato dai cittadini.

Di queste case esiste ancora l’antica torre medievale trasformata, nel XVI secolo, in campanile. I Ghisilieri, in cambio della cessione del terreno, chiesero che fosse affisso sulla facciata della chiesa il loro stemma nobiliare e una targa a memoria della donazione.

Nel 1780, in seguito ai danni causati da un violento terremoto, furono rifatte la facciata e le volte su progetto di Angelo Venturoli.
Al suo interno, oltre al bellissimo Battesimo di Cristo di Annibale Carracci (1583/85), importanti opere di D. Calvaert, L. Procaccini, L. Massari, L. Carracci. Vi è inoltre sepolto il fisico e biologo bolognese Marcello Malpighi.

Mercato delle Erbe, Via Ugo Bassi

Il Mercato delle Erbe sorge nell’area un tempo occupata da un convento femminile di “benedettine nere” dei Ss. Gervasio e Protasio, monache diventate famose per la produzione di un apprezzatissimo sciroppo di amarene.

La struttura fu progettata da Arturo Carpi e Filippo Buriani nel 1910 per ospitare le “treccole”, le tipiche bancarelle di generi alimentari, che per secoli avevano vivacizzato piazza Maggiore e che a fine ’800 furono trasferite in piazza San Francesco, per poi trovare qui la loro sede definitiva.

Nel 1949, dopo i danni a seguito dei bombardamenti, la struttura venne modificata, scomparve la piazzetta antistante, inglobata dai moderni edifici che coprirono anche la facciata originale.
Oggi il mercato è una festa di odori e di colori, con le sue bancarelle ricolme di frutta e verdura, i negozi di salumi e formaggi. Un simpatico posto per fermarsi ad assaporare le specialità locali nei suoi caratteristici ristorantini ed enoteche.

Tombe dei Glossatori, Piazza Malpighi

Le Tombe dei Glossatori sono monumenti funebri di alcuni tra i primi e più importanti professori dello Studium, l’antica Università di Bologna: Accursio (1184-1263) autore di testi di diritto come la Magna glossa fondamento del diritto comune europeo; Francesco di Accursio (1225-1293), suo figlio, professore di diritto civile, chiamato a insegnare all’Università di Oxford da Edoardo I d’Inghilterra; Odofredo Denari (1200-1265) giurista, celebre per una sua frase polemica contro chi riteneva i suoi insegnamenti troppo costosi: “Tutti vogliono istruirsi, ma nessuno vuol sapere il prezzo del sapere”; Rolandino de’ Romanzi (1220-1285) avvocato e iuris civilis professor.

Erano detti glossatori perché commentavano i testi di diritto romano con spiegazioni a margine, le glosse, per rendere più chiari i contenuti.
Queste nuove figure professionali, cardini della vita politica e culturale cittadina, scelsero sempre di essere seppellite in luoghi di grande visibilità urbanistica come, ad esempio, la chiesa di San Francesco. Tuttavia, non è possibile ricostruire esattamente il contesto cimiteriale su cui le tombe sorgevano. Il cimitero doveva essere posto sul retro della chiesa, cioè in piazza Malpighi, come tradizione delle chiese gotiche, ma la loro presenza isolata non corrisponde alla condizione in cui erano in passato.

Le tombe, soggette nel corso del tempo a distruzioni, rifacimenti e anche parziali ricostruzioni, vennero poste nella posizione attuale dall’architetto bolognese Alfonso Rubbiani durante i lavori di restauro del 1886, in occasione dell’ottavo centenario dell’Università, e grazie all’opera di sensibilizzazione e intercessione della regina Margherita di Savoia presso il governo italiano, che fornì i fondi.

Chiesa di San Francesco, Piazza San Francesco

In un terreno donato dal Comune, subito fuori dalla seconda cinta muraria, nel 1236 i Frati Minori costruirono la loro grandiosa chiesa, una delle più scenografiche della città. Bellissimo esempio di architettura tardo gotica con i suoi possenti archi rampanti, ma con ancora qualche reminiscenza romanica nella sua facciata a capanna. Curiosa anche la presenza di due campanili, uno legato alla struttura originaria, il secondo costruito su progetto di Antonio di Vincenzo tra il 1397 e il 1402.

L’interno a tre navate, grandioso e austero nei suoi laterizi rossi e intonaci bianchi, è ricco di opere d’arte: sull’altare maggiore bellissima pala marmorea del ’300 degli scultori veneziani Pierpaolo e Iacobello dalle Masegne, ornata con rilievi relativi a episodi della vita di San Francesco e con statuette di Santi e Angeli musicanti; lungo le pareti laterali, la quattrocentesca cappella della famiglia Muzzarelli, la tomba dell’antipapa Alessandro V e la lastra in memoria di padre Martini, grande musicista e compositore bolognese, maestro del giovane Mozart.

Casa di Pier Paolo Pasolini, Via Nosadella 48

Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna nel 1922, in via Borgonuovo 4. Presto abbandonò la città a seguito del lavoro del padre, ufficiale di fanteria, per farvi ritorno solo nel 1936 nella casa di via Nosadella 48. A Bologna frequentò il Liceo classico Galvani e poi la facoltà di Lettere.

Qui in via Nosadella venivano spesso a trovarlo alcuni giovani amici “intossicati dall’adolescenza” che amavano discutere e confrontarsi su vari argomenti, tra cui letteratura e teatro. Come narra Luciano Serra, lui, Pier Paolo, Roberto Roversi e Manzoni, un compagno di scuola di Pier Paolo, recitavano commedie irlandesi. I ragazzi “salivano di volta in volta su una panca o su una sedia o contro un muro, in fondo a un breve corridoio per recitare”. Sembra che Pasolini amasse anche travestirsi con tendaggi e che fosse un bravissimo mimo.

Pasolini lasciò via Nosadella nel 1943 per raggiungere la madre e il fratello a Casarsa in Friuli, luogo di origine della madre, dove erano sfollati in attesa della fine della guerra. Non fece più ritorno in via Nosadella. Nel 1945 si laureò all’Università di Bologna, poi si trasferì a Roma.

Torresotto, Via Porta Nova

Il torresotto o serraglio di Porta Nova ci riporta indietro a una Bologna medievale, cinta da mura a difesa della città. Fu infatti costruito come accesso cittadino sulla seconda cinta muraria che andò a inglobare tutti i borghi che si erano sviluppati a partire dal X-XI secolo all’esterno delle prime mura di selenite.

In quel periodo Bologna visse, infatti, un’enorme espansione demografica dovuta all’intensificarsi dei traffici commerciali grazie alla sua posizione geografica, e alla nascita dello Studium, che attirava numerosi studenti richiedenti alloggi e spesso dotati di buone capacità di spesa.

Persa la sua funzione difensiva, il torresotto, nel rinascimento, ebbe anche un risvolto “noir”. Qui, infatti, viveva Gentile Budrioli definita “strega enormissima”. Decritta come una graziosa brunetta, con vesti di seta e di velluto, con indosso gioielli preziosi, in realtà era una donna colta e assetata di conoscenza. Aveva seguito lezioni di astrologia e aveva appreso le arti erboristiche e, nonostante l’ostilità del marito, metteva le sue conoscenze a disposizione del prossimo. La sua fama si diffuse in città e anche Ginevra Bentivoglio, moglie del signore di Bologna, volle conoscerla e ne divenne amica. La sua influenza sulla corte fu però malvista dai cortigiani che spinsero Giovanni II a credere che le sue arti stregonesche fossero alla base di tutti i problemi che Bologna viveva in quel periodo. Accusata di stregoneria, torturata e condannata, andò al rogo il 14 luglio 1498.

Sinagoga, Via Mario Finzi 2

In questa zona della città, tra via Finzi e via de’ Gobruti, esisteva fin dal 1829 uno spazio di preghiera e incontro per gli ebrei: prima un piccolo oratorio, poi una sala presa in affitto e infine una sinagoga vera e propria, nel luogo dell’attuale, costruita tra il 1874 e il 1877.

L’edifico, completamente distrutto durante la Seconda guerra mondiale, fu ricostruito nel 1954, su progetto di Attilio Muggia. Nel 2017 alla sinagoga grande, utilizzata per le festività maggiori, se ne è aggiunta una piccola per la preghiera settimanale di Shabbat. Sotto di essa, durante i lavori di ristrutturazione, sono emersi importanti resti di una domus di età imperiale all’interno della quale era forse presente un impianto termale ad uso privato. Interessanti mosaici, a tessere bianche e nere di piccole dimensioni, sono ancora visibili sotto il pavimento della sinagoga.

La presenza ebraica a Bologna è di antichissima data. Già nel III e IV secolo abbiamo notizie di insediamenti ebraici in città. Le prime testimonianze documentate sugli ebrei a Bologna risalgono però al XIV secolo. Si trattava di nuclei di prestatori invitati dai governi locali, ma anche di “strazzari”, rivenditori di panni usati, professione riconosciuta e inserita in una corporazione chiamata Corporazione dei Drappieri – Strazzaroli – Pegolotti – Vacanti e Giudei”.

All’epoca la comunità era dislocata soprattutto nell’area di porta Ravegnana, anche se non esistevano vincoli di residenza. Questi arrivarono nel 1556, anno in cui, proprio sotto le due torri, venne istituito il ghetto che rimase abitato fino al 1593, quando tutti gli ebrei furono cacciati da Bologna. Prima dell’istituzione del ghetto vi erano almeno due sinagoghe in città: la comunità ebraica era infatti un nucleo fiorente, estremamente attivo e impegnato sia in campo commerciale che culturale.

Chiesa di San Salvatore, Via IV Novembre

La chiesa di San Salvatore ha origini molto antiche. Documentata dal 1136, la sua struttura venne più volte modificata e deve la sua imponente veste attuale ad Antonio Ambrogio Mazenta, che tra il 1605-1623 ne seguì la costruzione.

La zona dove sorge era, nel medioevo, estremamente vivace, votata all’arte e agli studi. Qui sorgeva la casa di Guido Guinizzelli, padre del “Dolce Stil Novo”. Qui sorgevano anche le scuole dell’Università degli Artisti e la chiesa stessa vedeva, sotto le sue volte, una assidua presenza di “scolari”, in particolare della “nazione degli inglesi”. Furono questi ultimi a erigere la cappella dedicata al santo vescovo martire di Canterbury, Thomas Becket, riprodotto nella bella pala di Girolamo da Treviso (1527). Becket stesso fu uno degli studenti dello Studium bolognese.

Al suo interno, notevolissime opere d’arte come il trecentesco polittico di Vitale da Bologna, la quattrocentesca Madonna della Vittoria di Simone de’ Crocefissi grazie alla cui intercessione, narra la tradizione, i bolognesi nel 1443 sconfissero i Visconti a Castel San Giorgio. Molto particolare anche il grande dipinto manierista di Iacopo Coppi dal soggetto rarissimo: Storia del Crocifisso di Beirut (1579).
Al centro del pavimento è posta la tomba del celebre pittore Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, che fu ospite per lungo tempo dei Canonici e che qui volle essere sepolto.

Casa natale di Guglielmo Marconi, Via IV Novembre 7

Guglielmo Marconi nacque a Bologna il 25 aprile 1874 nell’antico palazzo nobiliare della famiglia dall’Armi Marescalchi in via IV Novembre, nell’ala costruita in stile neoclassico agli inizi del XIX secolo. Guglielmo effettuò però i suoi primi esperimenti sull’utilizzo delle onde elettromagnetiche per stabilire comunicazioni a distanza nella villa di famiglia, villa Griffone a Sasso, acquistata dal padre che era un ricco proprietario terriero.

Ottenuti i primi sorprendenti risultati, la madre, una vivace irlandese, colta, amante dei viaggi e del bel canto e per niente sprovveduta, lo spinse a recarsi in Inghilterra per brevettare il suo nuovo sistema di telegrafia senza fili. In questa nazione Marconi proseguì poi i suoi esperimenti che lo portarono ad aumentare sempre di più la distanza di trasmissione fino a raggiungere l’altra sponda dell’oceano.

Il palazzo oggi ospita la sede della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici dell’Emilia. Dell’ampio programma decorativo si conservano ancora, al piano nobile, gli affreschi di Ludovico Carracci e Guido Reni, mentre al piano terra, nella sala ovale, le decorazioni di Felice Giani.

Via San Felice, lapide a inizio strada

Via San Felice, tratto cittadino dell’antica via Emila romana, ricorda con il suo nome la chiesa dei Ss. Naborre e Felice e il borgo omonimo già esistente nel 1091. All’inizio della strada, una lapide marmorea ci rammenta come Dante, nel De Vulgari Eloquentia, opera incentrata sull’arte dello scrivere in volgare, citi proprio il Borgo San Felice sottolineando la differenza tra la parlata dei bolognesi che qui abitavano e quella degli abitanti di Strada Maggiore.

Nella sua ricerca di un volgare illustre Dante considera il bolognese, che lui ben conosce per aver vissuto in città da studente ed esservi ritornato varie volte, come un idioma perfetto in quanto unisce i tratti dolci e femminei del romagnolo con i toni aspri e maschili del lombardo, dovuto alla presenza longobarda in città.

Palazzo Pallavicini, Via San Felice 24

Il quattrocentesco palazzo Pallavicini è appartenuto a importanti famiglie bolognesi: i Sala, i Volta, i Marsili, gli Isolani. Proprio questi ultimi vollero trasformarlo in un vero palazzo senatorio con un monumentale scalone, il salone con un soffitto a lanterna tra i più alti della città e le sale fastosamente decorate dai dipinti di Giovanni Antonio Burrini.

Con il passaggio dell’edificio, a metà del ’700, al conte maresciallo Gian Luca Pallavicini (condottiero e ministro dell’impero asburgico), il palazzo diventò la sede di una corte europea, offrendo uno scenario degno di una reggia: vi si intrecciavano rapporti con la diplomazia internazionale, vi si ospitavano teste coronate, vi si tenevano feste, banchetti, concerti.

E fu proprio durante uno di questi eventi mondani che, nel salone del Burrini illuminato a festa, il giovane Amadeus Mozart, allora quattordicenne, ospite con il padre a palazzo, si esibì di fronte a settanta dame bolognesi e dell’aristocrazia europea. I Mozart furono ospiti del conte a più riprese, sia in via San Felice, sia nella residenza estiva della Croce del Biacco.

Era amico dei Pallavicini anche il celebre cantante lirico Farinelli che allietava le serate degli illustri ospiti. Memorabile fu nel 1775, la corsa dei “cavalli barbari” organizzata lungo via San Felice per l’arrivo dell’arciduca Massimiliano.

All’interno del palazzo, oltre alle opere dello scultore Giacomo Rossi e ai dipinti del Pedrini e del Martinelli, nel soffitto di una sala al piano nobile si trova l’affresco, unico al mondo, con l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo nei panni di Cibele, Madre di tutti i popoli.
Dal 2017, dopo un profondo restauro, Palazzo Pallavicini è diventato sede espositiva di grandi mostre ed eventi privati.

Abbadia dei Ss. Naborre e Felice, Via San Felice

L’Abbadia dei Ss. Naborre e Felice è uno dei luoghi più antichi e dibattuti della città. Per molto tempo storici e studiosi l’hanno considerata la prima cattedrale di Bologna. Fino al ’700, infatti, ha ospitato le spoglie dei primi vescovi della città, compreso San Zama, ritenuto il fondatore della prima chiesa nel 270 d.C.

In realtà fin dall’epoca romana, a causa del divieto di seppellire i morti entro le mura della città, esisteva in questa località una necropoli ed è verosimile quindi che essa sia stata scelta come luogo di sepoltura dai vescovi locali, sulle cui tombe sorse probabilmente un edificio cimiteriale. Della primitiva costruzione, qualunque fosse la sua origine, purtroppo non rimane alcuna traccia. Sempre secondo la tradizione, fu distrutta e incendiata durante l’invasione degli Ungari nel X secolo.

I primi riferimenti sicuri risalgono a dopo l’anno mille, quando passò nelle mani dei Benedettini, che ricostruirono il monastero e la chiesa. Sotto il presbiterio esiste ancora la bella cripta romanica con la sua selva di colonnine e capitelli in laterizi e marmo, con i resti di affreschi rinascimentali, il bel pavimento a esagonette e la mensa dell’altare di epoca romana forse derivata da una lastra tombale.

Qui, tra le mura della “Badia”, Graziano di Chiusi scrisse il suo famoso Decretum, prima raccolta di diritto canonico, immane opera di chiarificazione e conciliazione tra canoni contraddittori, base imprescindibile per gli studi giuridici nel medioevo. L’edificio ebbe nel corso dei secoli varie funzioni: lazzaretto per gli appestati, “discolato” – ovvero casa di correzione per minori, donne e reclusi politici – ospedale militare. Da diversi anni la struttura è completamente abbandonata.

Chiesa Santa Maria della Carità, Via San Felice 64

La chiesa ha una struttura molto particolare, costituita da un bel portico seicentesco, aggettante su una delle strade principali di Bologna, e il corpo di fabbrica più arretrato. Le sue origini risalgono al XIII secolo quando su quest’area fu costruita una chiesetta accanto a un ospedale per infermi e pellegrini, da qui il nome “della Carità”. L’aspetto odierno è dovuto a un progetto di Pietro Fiorini del 1583 e alle aggiunte di Giovanni Battista Bergonzoni nel 1680.

L’interno, riccamente decorato, accoglie opere di Franceschini, Cignani, Gaetano Gandolfi, e la bellissima Crocifissione con la Vergine e i Santi del giovane Annibale Carracci, che da sola merita la visita alla chiesa. Il dipinto risale al 1583 ed è la sua prima opera pubblica, ma appare completamente rivoluzionaria nel panorama del suo tempo. L’uso della luce e dei chiaroscuri è particolarissimo. Carracci usa infatti una tavolozza molto scura, che rende la scena più drammatica e cupa. Gesù appare in tutta la sua povertà e sofferenza, che lo rendono molto umano; la sua divinità è evocata da una luce che lo circonda. Il pittore, ricollegandosi forse anche alla funzione del complesso, voleva far intendere che ogni povero, ogni malato era Cristo stesso. In primissimo piano si vede una miniatura della città di Bologna, mentre sullo sfondo c’è la chiesa di Santa Maria della carità stessa.

Percorso 2La città delle torri

Percorso 3Arte, cultura e nobiltà

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