Arte, cultura e nobiltà

Mercanti medievali, nobili palazzi del Rinascimento, vita universitaria e la Bologna di Lucio Dalla.

Un percorso lungo alcune delle più belle vie del centro storico bolognese, nel suo quadrante meridionale, che dal cuore della città sale dolcemente verso i colli. In strade come Via Castiglione, Via D’Azeglio, Via Santo Stefano, incontriamo palazzi di mercanti e nobili, architetture del Rinascimento, ma anche la casa di Lucio Dalla… E ancora, tesori d’arte come quelli conservati nella chiesa di San Paolo Maggiore e nella Chiesa della SS. Trinità, memorie della vita universitaria medievale nel Collegio di Spagna, nella chiesa di San Procolo e nella Pietra della Pace.

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Itinerario

Palazzo della Mercanzia, Piazza della Mercanzia

Piazza della Mercanzia era nel Medioevo il centro nevralgico dell’economia, tra i mercati di Piazza di Porta Ravegnana, di Piazza Maggiore, il mercato di mezzo, i vicoli affollati di botteghe, i palazzi sedi di corporazioni di mestiere, la dogana.

Qui il Comune, intorno al 1380, costruì il Palazzo della Mercanzia come Tribunale dei mercanti per le cause commerciali. Edificio splendido, ma con la giustizia non si scherzava: dopo la lettura delle condanne per frode dal delizioso balconcino gotico del palazzo, i colpevoli venivano legati davanti al pilastro centrale della loggia ed esposti a pubbliche ingiurie.

Il palazzo è opera di un grande architetto: il bolognese Antonio di Vincenzo, artefice anche della nuova grandiosa Basilica del Comune in Piazza Maggiore, San Petronio.

Il suo talento si rivela nel palazzo anche grazie all’armonia tra contrasti: rosso del cotto e del mattone, pietra bianca nelle decorazioni del balconcino centrale e delle finestre; slancio ed eleganza gotica, e senso di ampio respiro nell’alto e spaziosissimo portico. Le sculture negli oculi della facciata rappresentano la giustizia e i santi patroni di Bologna (copie, gli originali del ’300 sono al Museo Medievale).

La “Mercanzia”, dopo quasi 700 anni, è sede della Camera di Commercio. Anche gli interni, ridecorati nell’800, sono preziosi: una galleria di immagini e stemmi legati alle tradizioni locali dell’artigianato e del commercio.

Sono depositate qui, come parte del patrimonio di inventiva e lavoro della città, le ricette originali delle specialità più note della cucina bolognese: la ricetta e misura (in oro!) della vera tagliatella di Bologna, la ricetta del vero ripieno dei tortellini di Bologna, la ricetta del ragù bolognese, la ricetta del certosino di Bologna, la ricetta delle lasagne verdi bolognesi.

Palazzo Bolognetti, Via Castiglione 1

Vicinissimo a Piazza della Mercanzia, si rischia di non notare Palazzo Bolognetti, ma la sua bellezza merita attenzione!

Risale alla metà del ’500, età in cui molti nobili bolognesi fanno a gara nel costruirsi una nuova dimora “alla moda”, nello stile imponente del rinascimento maturo. Palazzo Bolognetti però si differenzia dai numerosi e notevoli palazzi bolognesi del periodo per l’esuberanza della decorazione all’antica, in pietra, dell’esterno, del cortile e dello scalone. In facciata un rilievo ritrae il committente Camillo Bolognetti, con l’aspetto di un senatore romano.

I Bolognetti furono mercanti, poi giuristi e docenti dello Studium, ed esponenti del Senato Bolognese. Si estinsero nel 1773, ma un loro ramo a Roma si unì ai Cenci.

Nel medioevo, al posto del palazzo c’era uno stabile della Gabella Vecchia (l’edificio con il portico di legno ancora esistente sulla sinistra della Mercanzia). Si pensa che il grande sotterraneo con volte gotiche del palazzo sia ancora quello trecentesco, usato come magazzino della gabella.

I Bolognetti avevano qui il loro palazzo fin dal ’400 e il portico è quello di allora. Ma nel 1484 il crollo della vicina torre Dalle Perle colpisce e distrugge gran parte dell’edificio, uccidendo quasi tutta la famiglia, riunita per il pranzo: solo 3 ragazzi si salvarono perché non ancora rientrati da scuola. Tra questi Giacomo, padre di Camillo, che decenni dopo fece ricostruire il palazzo nelle forme cinquecentesche.

Incerta la paternità del progetto, tra Pellegrino Tibaldi e Antonio Morandi detto il Terribilia, il grande architetto bolognese che dieci anni dopo realizzerà il nuovo Palazzo dell’Università, l’Archiginnasio. Andrea Marchesi da Formigine, scultore e architetto, sarebbe l’autore della ricca decorazione scultorea.

Dopo alcuni passaggi di proprietà, l’edificio è stato acquistato nel 1968 dal Circolo Bononia, club di ispirazione anglosassone che promuove iniziative culturali e sociali.

Palazzo Pepoli Vecchio, Via Castiglione 4-6

È il maggior palazzo privato della Bologna medievale. Non è un caso: i Pepoli sono stati Signori della città durante il Trecento.

Cambiatori, banchieri – come ricorda il loro stemma, una scacchiera bianca e nera che allude agli strumenti del tempo per calcolare i cambi di valuta – nel ’200 i Pepoli iniziano ad avere anche importanti cariche politiche.

Tra fine ’200 e inizi ’300 Romeo Pepoli raggiunge una tale ricchezza e un tale potere da subire l’esilio, a causa di rivalità e del rischio di un suo dominio completo sulla città.

La famiglia rientra e Bologna dopo diversi anni e sarà il figlio di Romeo, Taddeo, a ricoprire il ruolo di capo del governo, che manterrà con equilibrio dal 1337 fino alla morte, avvenuta poco prima della Peste Nera del 1347-48.

Fin dal ’200 i Pepoli possedevano case all’inizio di Via Castiglione, a pochi passi da piazza della Mercanzia, dove si concentrava l’attività dei cambiatori.

Taddeo trasforma le case di famiglia in un vero palazzo: severo come una fortezza medievale, ingentilito dai motivi gotici delle finestre e del piccolo balcone. Il motivo della scacchiera bianca e nera, stemma di famiglia, orna la cornice del portale. Vitale da Bologna, il maggior pittore bolognese del tempo, abitò presso i Pepoli.

Dopo la morte di Taddeo, i figli arrivarono a vendere la città a Milano. I Pepoli vennero nuovamente esiliati. Poi il rientro definitivo, mantenendo un ruolo importante ma non più dominante per i successivi secoli. La famiglia continuò a risiedere in Via Castiglione, facendosi costruire anche un nuovo palazzo sul lato opposto della strada (vedi Palazzo Pepoli Campogrande).

Palazzo Pepoli, Museo della Storia di Bologna, Via Castiglione 8-10

Durante il ’700 il palazzo medievale originale fu ingrandito, proseguendone la facciata e modificandone gli interni.

Nel 1887 Ferdinando Pepoli, ultimo in linea maschile, lo vendette al conte Agostino Pepoli, del ramo siciliano della famiglia, che nel 1910 lo donò al Comune di Bologna. Passò poi alla Cassa di Risparmio di Bologna. Durante la prima guerra mondiale fu sede della Croce Rossa americana.

Infine, tra il 2003 e il 2004, la Fondazione CARISBO realizzò il progetto del Museo della Città di Bologna, restaurando gli interni e l’esterno del palazzo.

Il progetto museale, vinto dall’architetto milanese Mario Bellini, crea una sintesi creativa tra antico e contemporaneità, illustrando la storia di Bologna dalle origini etrusche al presente. Allestimenti e ricostruzioni di grande suggestione conducono i visitatori attraverso la storia e l’identità della città.

Palazzo Pepoli Campogrande o Palazzo Pepoli "Nuovo", Via Castiglione 7

Il nuovo palazzo di famiglia, costruito a partire dal 1660 circa, risponde all’esigenza di rinnovare i fasti del casato secondo il nuovo gusto seicentesco.

Guardando la facciata, si nota subito l’assenza del portico, divenuto nei secoli caratterizzante dell’architettura bolognese e imposto dalle leggi comunali. Alcune famiglie in vista, specie se di rango senatorio (cioè esponenti del governo della città), come gli stessi Pepoli, per differenziare la loro dimora dalle altre pagavano una tassa speciale per costruire il loro palazzo privo di portico.

Lo stile imponente del palazzo è più classicista che barocco, anche se il prospetto è movimentato dalle ali laterali sporgenti sulla parte centrale.

Ma è l’interno che il palazzo va “scoperto”: a partire dallo scalone monumentale, usato come un vero palcoscenico dal capofamiglia Pepoli per mostrarsi agli altri senatori, quando riceveva la nomina a Gonfaloniere del Senato cittadino. La carica e la relativa cerimonia erano ricorrenti tra i senatori, così gli scaloni scenografici divennero “indispensabili” nei palazzi dei senatori bolognesi.

Gli architetti impegnati nella costruzione furono Giovanni Battista Albertoni (facciata e impianto generale), Giuseppe Antonio Torri (facciata su via Clavature), Gian Giacomo Monti (scalone d’onore).

I saloni del palazzo furono dipinti dai principali pittori bolognesi tra tardo ’600 e inizio ’700, e danno una idea perfetta degli stili diversissimi di questi artisti: il barocco del salone d’onore, con una travolgente rappresentazione dipinta dell’Apoteosi di Ercole, di Domenico Maria Canuti; la grazia misurata delle pitture della Sala di Felsina, dei Fratelli Rolli; la vena antiretorica di Giuseppe Maria Crespi, che dipinge i soggetti classici delle sale delle Stagioni e dell’Olimpo con una sensibilità fresca e quasi popolare; infine, lo stile celebrativo della Sala di Alessandro di Donato Creti.

Il Palazzo passò poi in proprietà alla famiglia Campogrande, che negli anni ’70 donò il piano nobile al comune di Bologna. Qui è esposta una parte della Quadreria Zambeccari, e costituisce una sezione staccata della Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Case medievali, Via de Toschi - Via Foscherara - Via Marchesana

A ovest di piazza Minghetti, frutto come via Farini di rinnovamenti dell’800, si trovano diverse interessanti testimonianze medievali.

Via de Toschi, che fiancheggia il palazzo delle Poste, prende nome da una famiglia di origine toscana, ma già potente a Bologna nel ’200. Le loro case includevano una torre, poi inglobata in un edificio successivo, e perciò ben visibile solo da una certa distanza.

La casa al numero 11 apparteneva ai Caccianemici. Metà dell’edificio è ancora quella duecentesca, l’altra metà fu rifatta nel ’400. La casa confina con Via de Foscherari attraverso un voltone, che costituisce una rarissima testimonianza delle prime mura di Bologna, risalenti ai secoli prima dell’anno mille. Il voltone costituiva una delle Porte delle mura, note con il nome di mura di selenite, la pietra grigia con cui furono costruite, usata anche per il basamento delle tante torri medievali di Bologna.

La famiglia Caccianemici ebbe un ruolo di primo piano nel ’200.
Uno di loro, Venedico, nobile potente e avido della Bologna medievale, è protagonista di un canto di Dante (XVIII): è all’Inferno, condannato come ruffiano. Pare infatti che spingesse la giovane sorella tra le braccia di Obizzo II d’Este in cambio di favori. Dante conosce molto bene luoghi, fatti, personaggi bolognesi. Molti indizi nelle sue opere indicano che abbia vissuto a Bologna da studente universitario, nel 1286-87 e nei primi anni del suo esilio, intorno al 1305.

Parallela a Via de Toschi è Via Marchesana, che si trova a un livello più alto a causa dell’accumulo dei resti del tratto delle mura di selenite. Al numero 4 la Torre dei Carrari, famiglia ghibellina che subì l’esilio nel 1274, durante le lotte tra fazioni guelfe e ghibelline.

Fonderia di San Petronio, Piazza Galvani

È difficile immaginare che all’interno dell’edificio alle spalle della statua di Luigi Galvani nella piazza omonima si trovassero laboratori e fonderie dove sono nati diversi capolavori di scultura!

Tra ’400 e ’500, grandi scultori realizzano in queste botteghe opere in terracotta e bronzo: Nicolò Dell’Arca, il Compianto di Cristo; Alfonso Lombardi, il Transito della Vergine (entrambi per Santa Maria della Vita).
Intorno al 1508 Michelangelo fuse qui, in bronzo, la grande statua del Papa Giulio II; il fiammingo Jean Boulogn, il Giambologna, vi realizza le statue per la Fontana del Nettuno, capolavoro manierista. Intorno al 1580 viene poi fusa qui la grande statua di papa Gregorio XIII posta sopra al portale di Palazzo Comunale, opera di Alessandro Menganti.

La statua in bronzo di Giulio II, di Michelangelo, voluta dal papa come simbolo della sua conquista di Bologna nel 1506, rimase solo alcuni anni sulla facciata della Basilica di San Petronio. Nel 1511, durante un effimero ritorno dei Bentivoglio, ex signori della città che erano stati cacciati proprio da Giulio, fu fatta a pezzi. Il bronzo fu ceduto a un grande nemico di Giulio II, Alfonso d’Este, che ne fece una colubrina, detta la Giulia.

Rimpiangiamo la distruzione dell’unico bronzo monumentale (la statua era alta circa 3 metri) della carriera di Michelangelo, che non amava lavorare il metallo, ma solo il marmo.

Circa 70 anni dopo lo scultore Alessandro Menganti fu incaricato di realizzare una statua in bronzo di papa Gregorio XIII, opera la cui severa fierezza è un omaggio al bronzo distrutto di Michelangelo.

Le fusioni si facevano nei mesi freddi, per le altissime temperature richieste. All’operazione, che durava settimane per la sola fusione del metallo, partecipavano molti operai, diretti dal maestro. Il controllo costante della temperatura era fondamentale, il consumo di legna e carbone enorme.

Corte e Torre Galluzzi

La potente famiglia guelfa dei Galluzzi aveva qui nel ’200 le sue case e la sua corte privata, protette da portoni e dalla torre. Per quanto le case abbiano subito ricostruzioni, ci troviamo di fronte a un raro esempio quasi intatto di “isola” chiusa e protetta, tipica dei clan familiari dominanti nel medioevo.

La necessità di difesa in caso di pericolo spiega la ragione per cui l’ingresso della torre non è quello sul piano della corte, evidentemente successivo, ma la stretta apertura che si vede a diversi metri da terra. Da lì, si entrava nella torre tramite ponteggi di legno collegati alle case attorno. La torre non aveva porte interne.

I Galluzzi furono particolarmente turbolenti nel quadro delle lotte tra fazioni. La tradizione ricorda l’odio reciproco con la famiglia Carbonesi, che abitava nei pressi, verso la via che porta ancora il loro nome. Nel 1258 Virginia Galluzzi e Alberto Carbonesi ebbero la disavventura di innamorarsi: lui fu assassinato dai Galluzzi, lei fu spinta al suicidio dai parenti.

La torre era forse più alta, e fu probabilmente abbassata per punire la famiglia per i molti episodi di violenza, che continuarono comunque fino a inizi ’400: un Galluzzi fu fra gli aizzatori dell’uccisione di Giovanni I Bentivoglio in Piazza Maggiore nel 1402.

Accanto alla torre si trovava una chiesetta, Santa Maria dei Galluzzi, a pianta circolare, rifatta nel ’700.

Sopra di essa, una sala era il luogo di riunione e preghiera dei numerosi mercanti fiorentini che avevano affari a Bologna. Dedicato al patrono di Firenze, San Giovanni Battista, l’ambiente fu completamente ridecorato a fine ’600, con dipinti barocchi di Mauro Aldobrandini e Domenico Baroni. Oggi è la sala di rappresentanza della Banca di Bologna.

Casa-torre dei Catalani, Via dei Celestini/Vicolo Spirito Santo

La famiglia Catalani era antichissima. Il più noto tra loro fu Catalano (Bologna 1210 c. – 1285), potente politico più volte chiamato come podestà in diverse città italiane, quali Milano e Firenze.

La sua azione politica a Firenze, svolta insieme a un altro bolognese, Loderingo degli Andalò, non piacque per niente a Dante, che vide nel loro operato l’inizio dell’estremizzazione della politica guelfa e papale che portò poi anche all’esilio dello stesso Dante da Firenze. Per questo, secondo Dante, Catalano e Loderingo meritano l’Inferno, e sono i protagonisti del Canto XXIII, dedicato agli Ipocriti.

I due personaggi furono anche tra i fondatori di un ordine religioso e militare, i Frati della Milizia della Vergine Gaudiosa, per questo detti Frati Gaudenti, che aveva sede all’eremo di Ronzano ancora esistente sui colli di Bologna.

La torre che vediamo è una casa-torre, usata come abitazione fortificata e non solo come luogo di difesa. Per questa ragione è più ampia, meno alta e ha più finestre rispetto ad altre torri bolognesi.

In locali nei pressi della casa torre, il Comune di Bologna istituì a metà del ’300 il bordello pubblico. Anche a causa dell’alto numero di studenti, erano necessarie soluzioni pratiche (ed economicamente vantaggiose per il Comune…) per l’ordine pubblico. I vicoli nei pressi presero nome di Borghetto del Bordello.

I Catalani avevano però altre case e torri in fondo all’attuale Via D’Azeglio, quasi su Piazza Maggiore. Lì una loro torre, la seconda per altezza dopo la Asinelli, fu demolita nel 1484 per ragioni di sicurezza.

Archivio di Stato, Piazza de’ Celestini

L’Archivio di Stato di Bologna, che ha sede nei locali dell’ex monastero dei Celestini, conserva un patrimonio ricchissimo di documenti medievali e dei secoli successivi.

Tra questi, per citarne uno, un documento del 1287 in cui il notaio bolognese Enrichetto delle Querce, appassionato di letteratura, copiò una poesia che gli studiosi hanno indentificato come la prima a noi nota di Dante Alighieri. Dante aveva 22 anni. Gli studiosi ritengono il documento una delle prove del soggiorno di Dante a Bologna come studente tra 1286 e 1287.

Prima sede del Comune di Bologna, Vicolo Colombina/Via Pignattari

All’angolo tra Vicolo Colombina e Via Pignattari si può vedere un’altissima colonna in mattone, e svoltando su via Pignattari si nota un edificio medievale con strutture in legno. Sono i resti dell’edificio che fu la prima sede del Comune di Bologna, datato al XII secolo.

All’epoca Piazza Maggiore, e i palazzi del Comune che vediamo tutt’ oggi, non esistevano perché la loro costruzione iniziò a partire dal ’200.

Il primo palazzo del comune si estendeva per la larghezza dello stabile ora dell’Hotel Commercianti. All’epoca della sua costruzione, il XII secolo, la Basilica di San Petronio non esisteva ancora. Di fronte all’edificio del comune era una chiesa, Sant’Ambrogio, da cui prendeva nome la piazzetta tra i due edifici, chiamata curia di S. Ambrogio. La costruzione della nuova grande Basilica di San Petronio dal 1390 determinò la distruzione di un intero quartiere medievale, inclusa l’antichissima chiesa.

Casa di Lucio Dalla, Via D’Azeglio 15

Lucio Dalla è un personaggio meraviglioso come le sue canzoni. Nato a Bologna il 4 marzo 1943, in una famiglia della piccola borghesia, cresce in una casa nei pressi di Piazza Cavour (non lontano da Via D’Azeglio, 15).

Eccentrico, creativo, inizia la sua carriera giovanissimo. Fin da bambino, uno scricciolo con una vivacità incontenibile, ha un talento naturale per il palcoscenico e la musica. Da adolescente si avvicina al jazz, imparando quasi da solo a suonare la fisarmonica, il clarinetto, il piano, il sax. Tra gli anni ‘50 e ’60, per usare le sue parole, “Bologna era invasa dal jazz”. Nascevano molti piccoli locali, gruppi come la Rheno Dixieland Band (di cui faceva parte anche il futuro regista Pupi Avati), con cui inizia a suonare.

Dopo una lunga gavetta non priva di fiaschi che non lo scoraggiano, le prime partecipazioni a festival canori, il successo arriva nel 1971 al Festival di Sanremo, con la canzone 4/3/1943.

Il bellissimo testo è di Paola Pallottino, giovane poetessa, illustratrice, storica dell’arte. L’adesione della musica e l’interpretazione di Lucio alla storia di un personaggio fuori dagli schemi, sono perfette, istintive. La canzone subisce anche modifiche dalla censura, ma rappresenta qualcosa di completamente diverso per la musica italiana del tempo.

Il successo è ancora più grande al Sanremo dell’anno seguente, con Piazza Grande, struggente ma vitale canzone su un personaggio reale, un senzatetto. La piazza della canzone non è Piazza Maggiore, ma Piazza Cavour, così familiare a Lucio bambino e ragazzo.

L’artista, il personaggio, l’uomo Dalla conquistano il pubblico per l’autenticità, la curiosità, l’inesauribile creatività. Tante le collaborazioni feconde con molti artisti, dal poeta bolognese Roberto Roversi, a musicisti come Ron, Francesco De Gregori, Gianni Morandi, gli Stadio, Luca Carboni, Samuele Bersani, Angela Baraldi.

Nei decenni si susseguono canzoni quali Come è profondo il mare, Ma come fanno i marinai, Anna e Marco, L’anno che verrà, Futura, Caruso… capaci di arrivare al cuore di tutti da un punto di vista mai banale, che sono diventate parte del patrimonio collettivo della musica italiana.

Strettissimo il legame di Dalla con la sua Bologna, ma amava appassionatamente anche il Sud dell’Italia.
La casa di Lucio Dalla è lo specchio della sua personalità: piena d’arte, eccentrica, sorprendente. La Fondazione la apre regolarmente per visite guidate.

Oratorio dello Spirito Santo, Via Val d'Aposa 6

Bologna, priva di cave di marmo nel suo territorio, vide fiorire una grande tradizione di scultura in terracotta durante il Rinascimento (cui diede un contributo altissimo Nicolò dell’Arca).

La facciata del piccolo oratorio ne è una preziosa testimonianza. L’edificio si trova alle spalle del complesso conventuale dei padri Celestini (oggi sede dell’Archivio di Stato di Bologna, e annesso alla chiesa di San Giovanni Battista o dei Celestini), che lo fecero costruire intorno al 1480, e fu luogo di preghiera di una confraternita di laici, chiamata dello Spirito Santo.

La facciata dell’Oratorio dello Spirito Santo presenta i caratteri tipici delle decorazioni scultoree bolognesi del ’400: elementi architettonici all’antica sono uniti al vivo naturalismo nelle figure di Cristo e dei Santi, e all’esuberanza degli ornamenti, arricchita dal colore rossiccio del cotto e di dettagli dipinti in blu.

La decorazione è attribuita a Vincenzo Onofri, scultore bolognese maestro della terracotta, autore di un Compianto per la Basilica di San Petronio, o a Sperandio da Mantova, scultore e medaglista, attivo a Ferrara per gli Este e a Bologna per i Bentivoglio (suo è il bel monumento in terracotta di papa Alessandro V, morto a Bologna nel 1410, presso la chiesa di San Francesco).

Dopo essere stato nell’800 adibito a bottega di falegname e fabbro, fu restaurato più volte. Tornato ad essere luogo di culto, è stato assegnato dal 1967 ai Cavalieri dell’Ordine di Malta.

Chiesa di San Paolo Maggiore

La chiesa è molto importante per il ’600 a Bologna. Committente è Bernardino Spada, colto cardinale bolognese, il cui palazzo e la cui collezione a Roma sono ora un prezioso museo.

A Bologna, Spada fa dono del terreno e della chiesa ai padri Barnabiti, ordine nato nel 1533 con una forte vocazione sociale, specie attraverso la fondazione di scuole. San Paolo, martirizzato in quanto cittadino romano con la decapitazione per spada, è il faro spirituale dell’ordine.

Sulla facciata della chiesa è presente il motivo decorativo della spada, allusione sia allo strumento di martirio di San Paolo che al cognome del committente. L’architettura, del 1610 c., è opera di Ambrogio Magenta, padre Barnabita.

All’interno le opere d’arte importanti sono tante, ma spicca su tutte una delle più belle sculture del ’600 italiano: la Decollazione di San Paolo di Alessandro Algardi, nella cappella Maggiore.

Scultore di grandissimo talento, Algardi, nasce nel 1595 a Bologna e si forma alla scuola di Ludovico Carracci. Nel 1624 si trasferisce a Roma, dove il barocco di Gian Lorenzo Bernini domina la scena artistica. Hanno un ruolo importante però anche gli artisti bolognesi, creatori di uno stile più classico, prima con Annibale Carracci, poi con Guido Reni, Guercino, Domenichino. Algardi, pur confrontandosi con Bernini, realizza opere più misurate ma di altissima qualità.

Ne è un esempio la Decollazione di San Paolo, realizzata tra il 1638 e il 1643. L’idea delle figure in azione come in una scena di teatro è molto vicina alle opere di Bernini. Il potenziale drammatico, però, è qui più contenuto, in un perfetto equilibrio tra ideale classico, naturalismo e coinvolgimento emotivo.

L’Algardi eseguì l’opera a Roma, e il suo viaggio verso Bologna fu una vera avventura: spedita per nave, durante la circumnavigazione della penisola fu sequestrata dai pirati, che chiesero e ottennero un riscatto (pagato si pensa dagli Spada), per restituirla.

La chiesa ha anche molti dipinti importanti: gli affreschi sul soffitto con le storie di San Paolo, dei fratelli Giuseppe e Antonio Rolli (che purtroppo morì cadendo da una impalcatura), tele di Ludovico Carracci, Guercino, Giuseppe Maria Crespi.
Bellissima è l’Adorazione dei pastori (1613 c.), di Giacomo Cavedoni, allievo dei Carracci, ma che in questo dipinto ricorda Caravaggio per il modo realistico di rappresentare i pastori del Vangelo come dei commossi popolani.

Collegio di Spagna, Via Collegio di Spagna 4

Nel medioevo la comunità degli studenti spagnoli all’università di Bologna era particolarmente numerosa. Nel 1364 il potentissimo cardinale Egidio Albornoz, imparentato con la casa reale D’Aragona, finanzia un grande collegio a loro destinato, in funzione ancora oggi.

Il complesso del Collegio di Spagna occupa un intero isolato, e fu costruito secondo il modello di uno spazioso monastero, protetto da alte mura. In stile tardogotico, fu realizzato dall’architetto Matteo Gattaponi da Gubbio, ingegnere di fiducia dell’Albornoz, che lo incarica anche di costruire diverse fortezze a Spoleto, Urbino, nei territori sotto il controllo papale.

Al centro è il bellissimo doppio loggiato su cui si organizzano gli ambienti: le camere degli studenti, le sale di vita comune, la biblioteca, la chiesa interna, che ha all’altare un importante dipinto rinascimentale di Marco Zoppo (1460 c.).

Gli ambienti sono pressoché intatti e il complesso è ancora utilizzato da dottorandi spagnoli, detti “Bolonios”. Vincere borse di studio e vivere qui è tutt’oggi considerato elemento di grande prestigio.
Sono passati di qui Carlo V d’Asburgo, Ignazio di Loyola, forse Miguel de Cervantes.

Il luogo è extraterritoriale, appartiene tuttora alla Spagna. Albornoz destinò un patrimonio fondiario importante per la sua esistenza, che ancora ne permette il mantenimento.

Camminando intorno al complesso si ammirano le mura medievali, la presenza di un giardino interno, l’ampliamento rinascimentale, con il magnifico portale in pietra del 1525 di Bernardino da Milano.

Palazzo Sanuti Bevilacqua Degli Ariosti, Via D’Azeglio 31

È il più prezioso e originale tra i palazzi delle famiglie importanti della Bologna quattrocentesca giunti fino a noi. Privo di portico, quello che lo rende unico è l’uso del bugnato in pietra per l’intera facciata, in una città dove dominano il cotto e il mattone e la pietra è usata solo per fregi, cornici, elementi decorativi.

Il bugnato in pietra è inoltre estremamente prezioso, i blocchi sono lavorati a “diamante”, anni prima che il motivo divenisse famoso nello splendido e ben più grandioso Palazzo dei Diamanti di Ferrara.

Purtroppo non è noto il nome dell’architetto che ne fu l’ideatore. Ma chi fu il committente di un palazzo tanto “moderno”, costruito tra 1477 e 1482? Il giurista Nicolò Sanuti, Conte di Porretta, personaggio di spicco di Bologna nell’età dei Bentivoglio.

Interessante figura è anche la moglie di Nicolò, la bella e orgogliosa Nicolosia, che fu l’amata di Sante Bentivoglio prima che la ragion di stato gli imponesse il matrimonio con Ginevra Sforza. Nicolosia, rimasta vedova, donò poi il palazzo ai Bentivoglio. Celebre è un suo scritto di protesta contro le leggi suntuarie che limitavano il lusso dell’abbigliamento.

Il palazzo ha anche un magnifico cortile, ornato con la stessa grazia rinascimentale della facciata. Le decorazioni in pietra sono attribuite ai toscani Marsilio e Antonio Infrangipani e a Tommaso da Varignana. È tuttora privato, dal tempo dei nobili ferraresi Bevilacqua degli Ariosti.

Nel ’500 divenne proprietà del cardinale Lorenzo Campeggi, che vi ospitò anche Carlo V. Nel 1547 fu sede, per volere di Papa Paolo III, di alcune sedute del Concilio di Trento, dove infuriava la peste.

Nel marzo 2021 ne è stato ultimato il restauro, necessario per la delicatissima pietra arenaria annerita da età e inquinamento, tornata ora alle originali sfumature dorate.

Chiesa di San Procolo, Via D’Azeglio 52

In questo quartiere durante il Medioevo si svolgevano le lezioni di diritto dell’università, prima che venisse costruito nel ’500 il Palazzo dell’Archiginnasio come nuova sede delle Scuole, accanto alla Basilica di San Petronio.

Il legame con l’università è presente anche in una famosa lapide murata sulla facciata della chiesa, che parla di uno studente di nome Procolo, vittima di eccessivo studio, che si sarebbe tolto il sonno svegliandosi a tutti i rintocchi della campana della chiesa per studiare.

La chiesa ha probabili origini paleocristiane, dedicata al martire Procolo (IV secolo). Fu ricostruita nell’XI secolo dai benedettini accanto al loro monastero.

Nel cimitero del convento furono sepolti importanti docenti di diritto del XII secolo, come Bulgaro e Martino, allievi di Irnerio.

Nel corso del ’300 l’edificio fu ricostruito in forme gotiche insieme alla facciata. Modifiche vennero poi effettuate all’interno nel ’500 e nel ‘700.

I chiostri e le sale cinquecentesche del monastero ospitarono poi l’Ospedale degli Innocenti per i bambini abbandonati, e dall’800 fino al 1990 la Maternità. Ora l’ex monastero è di pertinenza del Tribunale.

Pietra della Pace, Via D’Azeglio 57/59

La pietra racconta un episodio relativo al rapporto – non sempre facile già nel medioevo – tra la città e gli studenti universitari. L’immagine a rilievo (l’originale è ora al Museo Medievale di Bologna) era posta in origine presso la scomparsa chiesetta di Santa Maria delle Grazie, che si trovava proprio qui. Sia la chiesa che il rilievo furono realizzati in memoria di fatti drammatici accaduti nel 1321.

All’epoca gli studenti erano tutti uomini, e lo studio non era la loro unica occupazione; capitava che creassero problemi di ordine pubblico, anche per amore. Uno studente spagnolo, Giacomo da Valencia, si innamorò di Costanza Zagnoni, nipote di Giovanni d’Andrea, famoso docente di legge. Tentò di fuggire con lei, ma fu catturato e giustiziato dopo un rapidissimo processo.

Per protesta, gli studenti lasciarono Bologna, trasferendosi in altre università e causando una seria crisi economica. Dopo molte trattative condotte da ambasciatori bolognesi, l’anno seguente gran parte degli studenti tornò in città.

Tra le condizioni per il rientro, gli studenti chiesero la costruzione di una piccola chiesa in ricordo dei fatti, Santa Maria delle Grazie o della Pace.

Proprio la pace ritrovata tra città e studenti è rappresentata nel nostro rilievo, scolpito nel 1322: al centro Maria con il Bambino, sede della Sapienza e simbolo dell’Università, tende la mano ai due gruppi di studenti in ginocchio ai suoi lati. A sinistra gli Ultramontani, cioè provenienti da oltre le Alpi, a destra i Citramontani, cioè gli italiani.

Via Castiglione

Tra le molte strade nobili del centro, Via Castiglione si caratterizza per il suo andamento “sinuoso”, che aggiunge un bellissimo effetto alla visione dei portici continui dei palazzi antichi.

Il percorso non rettilineo della via è dovuto al fatto che anticamente qui passava il canale di Savena, derivazione artificiale del fiume che scorre fuori città. Nel medioevo il Comune di Bologna costruisce canali artificiali per portare acqua nell’area urbana, soprattutto con la funzione di muovere ruote idrauliche che danno energia a diverse manifatture.

Nella zona di Via Castiglione erano attive soprattutto la lavorazione della lana, tintorie, cartiere, lavorazione dell’oro e dell’argento. Iacopo della Lana, che abitava in Via Castiglione nel ’300, è stato il primo autore che commentò (in lingua italiana o volgare, nel 1325 c.) l’intera Divina Commedia. La sua famiglia aveva un ruolo importante nell’industria della lana, da cui il nome.

Tra i molti bei palazzi, catturano lo sguardo Casa Poeti (al n. 23, XV secolo), Palazzo Guastavillani (al n. 20-22, XVI secolo), Palazzo Pasi (al n. 11, XVI secolo, ora sede dell’Accademia Nazionale di agricoltura), Palazzo Zagnoni (n. 25-27, ora sede del Circolo della Caccia, ricostruito nel XVIII secolo), Casa Dolfoli (n. 47, XV secolo).

A metà della via si apre lo slargo con la seicentesca chiesa di Santa Lucia, dalla facciata incompiuta, costruita dai Gesuiti insieme al grande edificio alla sua destra. I maestosi interni barocchi sono oggi l’Aula Magna dell’Università di Bologna.

Poco più avanti il Torresotto di via Castiglione, una delle Porte della seconda cerchia di mura medievali di Bologna, costruita nel XII secolo.

Via Santo Stefano

È una delle grandi strade storiche che, a partire dalle Due Torri, si diramano in diverse direzioni verso il territorio extraurbano. Erano le grandi arterie di comunicazione dei tempi antichi: via Castiglione, Strada Maggiore, Via San Vitale, Via Zamboni.
Via Santo Stefano conduce verso Firenze e la Toscana.

Poco dopo l’inizio della via, precisamente da Piazza Mercanzia, si trova la Torre Alberici. Ugo di Porta Ravegnana, appartenente alla famiglia Alberici, fu uno dei grandi giuristi dell’Università di Bologna nel XII secolo. La torre fu manomessa alla base nel ’200 per aprirvi una bottega, ancora esistente.

Proseguendo, la via si apre sulla piazza più caratteristica di Bologna, Piazza Santo Stefano. Le case e i palazzi che vi si affacciano sono stati costruiti principalmente tra XIV e XVI secolo, e ogni portico è diverso per stile e forme.

Tra i palazzi sono particolarmente originali i due palazzi dei Bolognini, accomunati dalla presenza di numerosi busti ritratto sulle facciate. Il più antico, Palazzo Bolognini poi Isolani (al n. 18) è della metà del XV secolo, architetto il fiorentino Pagno di Lapo Portigiani. Qui i volti nei medaglioni sono ritratti immaginari degli antenati della famiglia. Il secondo palazzo di famiglia, Palazzo Bolognini Salina Amorini (al n. 11) fu costruito intorno al 1525, e qui i busti ritratto della facciata hanno carattere più fantastico: molti rappresentano divinità mitologiche, e sono opera del grande scultore Alfonso Lombardi. Gli splendidi capitelli scolpiti del portico, tutti diversi, sono opera della prima importante scultrice della storia dell’arte italiana, la bolognese Properzia de’ Rossi, attiva a inizio ’500.

I Bolognini, nel tardo ’200, portarono a Bologna da Lucca, loro città d’origine, la manifattura della seta, che divenne una delle industrie principali di Bologna fino al ’700. La famiglia diventò una delle più ricche della città. Celebre è la loro cappella in San Petronio, dipinta da Giovanni da Modena intorno al 1410, con una rappresentazione dell’Inferno degna della fantasia di Dante.

Piazza e via Santo Stefano prendono nome dal complesso religioso più suggestivo di Bologna, le cosiddette Sette Chiese. Sorto sui resti di un tempio romano del II secolo d.C., che era allora esterno alla Bononia romana, il complesso si sviluppa tra IV e V secolo. La fondazione spetterebbe a San Petronio, vissuto allora, che volle costruire un gruppo di chiese dedicate alla Passione, morte e Resurrezione di Cristo, quasi replicando i luoghi santi di Gerusalemme. L’intero complesso fu ricostruito, pur conservando elementi più antichi, nel corso dei secoli XI-XIII. Gli estesi restauri tra ’800 e ’900 non hanno cancellato il fascino delle Sette Chiese.

Legata al complesso stefaniano è anche la Chiesa di San Giovanni in Monte, che si trova nella piazzetta omonima poco distante da Via Santo Stefano. Costruita su una piccola altura, secondo la tradizione sarebbe stata voluta anch’essa da San Petronio, come simbolo del Monte degli Ulivi.

La chiesa, di origini medievali, assunse l’aspetto attuale durante il ’400. Il disegno arrotondato della facciata ricorda le chiese veneziane di quel periodo. L’aquila simbolo di San Giovanni Evangelista, sopra al portale, è opera di Nicolò dell’Arca (fine ’400). La bellissima vetrata rotonda fu realizzata su disegno del grande pittore ferrarese Francesco del Cossa. All’interno si ammirano molti dipinti interessanti, di pittori come Lorenzo Costa, Bartolomeo Cesi, Guercino.

Nella cappella Duglioli si trovava la famosissima Estasi di Santa Cecilia di Raffaello (ora alla Pinacoteca Nazionale di Bologna), sostituita da una copia di Clemente Alberi, dell’800. Il magnifico dipinto fu commissionato dalla nobile bolognese Elena Duglioli dall’Olio e realizzato da Raffaello nel 1514-16. Napoleone la trasferì al Louvre, ma fortunatamente fu riportata in Italia da Antonio Canova (con tanti altri capolavori che erano stati predati da Napoleone). Un sarcofago in cristallo mostra il corpo incorrotto e mummificato di Elena Duglioli, Beata per la sua devozione.

Accanto alla chiesa si trova l’ex monastero di San Giovanni in Monte, ricostruito da Antonio Morandi detto il Terribilia a partire dal 1543. Gli ambienti cinquecenteschi hanno decorazioni all’antica in arenaria molto ricche. Con le soppressioni napoleoniche il monastero fu usato come carcere, fino al 1984. Una attenta campagna di restauro ha riportato il complesso alla sua bellezza originaria, degna sede delle Facoltà universitarie di Storia e Archeologia.

Via Santo Stefano dopo la piazza prosegue con una successione di palazzi antichi.

Particolarmente notevole è Palazzo Vizzani (al n. 43) costruito a metà del ’500 da Bartolomeo Triachini, con decorazioni all’antica in arenaria. I fratelli Camillo e Pompeo Vizzani nel ’500 diedero vita nel palazzo a una delle Accademie culturali di Bologna, l’Accademia degli Oziosi. Anche gli interni hanno decorazioni di quell’epoca, di Pellegrino Tibaldi, Lorenzo Sabbatini, Tommaso Laureti, ma anche dipinti di inizio ’800 di Antonio Basoli e Felice Giani.

In Via Santo Stefano 87 è la chiesa della SS. Trinità, di origine quattrocentesca ma ricostruita tra ‘600 e ‘700. All’interno, nella prima cappella a sinistra, si trova uno splendido dipinto di Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614) una delle primissime donne artiste della storia dell’arte. Bolognese, figlia del pittore manierista Prospero Fontana, Lavinia raggiunge grande successo nonostante le enormi difficoltà che una donna artista doveva affrontare nel suo tempo. È la prima pittrice dell’epoca a ricevere importanti commissioni pubbliche, come la stupenda Natività di Maria che si trova in questa chiesa: una grande pala d’altare, in origine collocata nella cappella di un antico ospedale non più esistente in Via S. Stefano. Lavinia rappresenta in modo originalissimo la nascita di Maria: in un interno domestico notturno illuminato dai bagliori di luce di camino e candela, dove si affaccendano le figure femminili che hanno assistito al parto di Sant’Anna, la madre di Maria.

Percorso 1Da Dante a Marconi

Percorso 2La città delle torri

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